Song of myself
I celebrate myself, and sing myself,
And what I assume you shall assume,
For every atom belonging to me as good belongs to you.
Walter Whitman, Song of myself
Song of myself è il nome del poema che dà il titolo a una mostra concepita per valorizzare il concetto di ripetizione nella creazione artistica. Una regolarità che dà luogo a un principio, a un segno che ci permette di identificare, nella pletora di produzioni, lo stile di un artista.
Quella che Jean-Étienne Dominique Esquirol definì monomania altro non è, artisticamente parlando, che lo zelo estremo e l’interesse ossessivo per un soggetto, un colore, un’idea. Paul Cézanne, per esempio, dedicò una vita intera all’intima raffigurazione del paesaggio dominato dalla Montagne Sainte-Victoire nella costante, testarda ricerca di perfezione, permanenza, soddisfazione personale. Qualche decennio dopo, Piet Mondrian rifiutò categoricamente di ritrarre la natura nel suo essere mutevole e instabile contrapponendo a essa il motivo razionalista di linee e colori che sarebbe diventato eterno, indistinguibile. Monomania, dunque, come mezzo di auto-promozione e formazione della propria identità. Nell’adottare un sistema di segni definiti e di un linguaggio ben riconoscibile, si cela il desiderio di validità e il bisogno di trovare autorità nella produzione artistica.
Il tema della ricerca dell’identità attraverso la ripetizione ossessiva, monomaniacale, talvolta sofferente del gesto introduce il concetto di rituale come forma di conoscenza interiore, la cui funzione, qui intesa a livello sociale e antropologico, è quella di confermare il valore e il contenuto del processo artistico. Motivati dalla passione/ossessione per un’azione o un concetto, gli artisti presentati esplorano attraverso i mezzi della pittura e della scultura, la nozione di reiterazione del gesto nel tempo e la relativa importanza nell’affermazione dell’identità visiva dell’artista.
Erede dell’action painting, Jason Martin (1970, Jersey, Channel Isles) concretizza l’idée fixe nella realizzazione di dipinti monocromi su un fondo in alluminio, dove l’atto fisico della pittura stessa diviene il soggetto dell’opera. All’azione, David Adamo (1979, Rochester, USA) contrappone la dimensione teatrale del processo scultoreo, cifra stilistica dei suoi interventi. Dimensione processuale e forma in divenire sono i punti fissi e distintivi del lavoro di Gianni Caravaggio (1968, Rocca S.Giovanni, Italia), che indaga le potenzialità evocative dell’immagine – sia essa scultorea o un disegno – definendola come un ‘seme’, un elemento generativo. Monomania come zelo estremo è ciò che caratterizza il lavoro di Gianni Piacentino (1945, Coazze, Italia) a metà strada tra Arte Povera e Minimalismo. Fedele a un’idea di dinamismo e velocità di stampo futurista, i suoi progetti – aeroplani, motociclette, monocicli e automobili – mostrano un’attenzione maniacale ai dettagli e un’elevata tecnica artigianale. Più concentrato su un’estetica di background, Dan Shaw-Town (1983, Huddersfield, UK) espande il proprio interesse, mostrando nei suoi ultimi lavori da un lato il processo manuale di creazione di un’opera; dall’altro la sua valenza esaustiva come punto di sosta finale. Sophie Bueno-Boutellier (1974, Tolosa, Francia) rielabora in chiave moderna le teorie del movimento spazialista. L’artista utilizza la tela per creare costruzioni tridimensionali in cui il rituale del gesto contribuisce alla definizione della formalizzazione dell’opera d’arte nonché all’acquisizione di un elemento caratterizzante tipico di ciò che è duraturo nel tempo.
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