One of these things is not like the other things
Una collettiva incentrata unicamente sull’esclusione? Forse questo non è il solo obiettivo di una mostra che riunisce l’accurata selezione di opere di 24 artisti internazionali che, così presentate, ci pongono una domanda: quale di noi non è una di “noi”? Quale lavoro non fa parte di questa mostra? Quale di queste cose non è come le altre? (Si tratta sicuramente di più di una domanda. Ma siamo sicuri di intendere sempre “uno” quando diciamo “uno”?)
I visitatori, con a disposizione la pianta della galleria, potranno identificare l’opera d’arte che, a loro avviso, non corrisponde al tema della mostra. Non c’è alcun premio in palio e non si tratta né di un gioco né di un test per stabilire il quoziente intellettivo. O.O.T.T.I.N.L.T.O.T vuole essere un esperimento cognitivo in forma di mostra. Collocata all’interno di un discorso di democratica e totale inclusività (dalle leggi sull’immigrazione fino alla critica d’arte) che giustifica l’inclusione del lavoro B per il semplice fatto che A è già lì presente, O.O.T.T.I.N.L.T.O.T capovolge il principio fondamentale di questa ideologia: ci chiede di escludere piuttosto che includere.
Per alcune delle persone che hanno partecipato alla preparazione di questa mostra è stato piuttosto facile individuare il lavoro “intruso”. Per altri si è trattato invece di una sfida più complicata perché molteplici legami concettuali o formali con gli altri lavori cominciavano a manifestarsi nel momento in cui si identificava un’opera d’arte di un altro genere. “Almeno ci siamo divertiti”, hanno ammesso alla fine. Per un terzo gruppo il processo di esclusione è andato avanti a tal punto da indurli a rimuovere tutti i lavori dalla mostra perché nessuno di essi a loro parere ne faceva parte. Sebbene anche gli sforzi di quest’ultimo gruppo non siano stati privi di divertimento, la ricerca dell’esclusione si è conclusa nel raggiungimento del centro mancante della mostra.
Secondo Slavoj Zizek il centro mancante può costituire l’essenza della preparazione di una mostra. Egli stesso è privato della sua essenza nelle macchie di saliva presenti tra gli appunti presi da Ana Prvacki durante una delle sue lezioni. Benoît Maire ha bucato alcune pagine dell’Enciclopedia Francese di Filosofia da Husserl a Cartesio – questi fori contengono categorie e concetti riguardanti il modo di conoscere la realtà senza leggere la filosofia. Il disegno a parete di Pierre Bismuth contiene i segni dei movimenti della mano destra di Sofia Loren nel film “Peccato che sia una canaglia”. Positivo e negativo si scambiano i ruoli nei disegni di Gabriel Acevedo Velarde. Juozas Laivys ha trovato un nido di uccelli caduto da un albero, ma si potrà poi risistemare all’interno della mostra? Un fotogramma vuoto è rimasto nella tasca di Mario Garcia Torres per un mese, ora verrà proiettato su una parete per 3 mesi. Più di due domande vengono poste nelle due foto di Falke Pisano – se fossero state meno astratte se ce ne sarebbo state anche di più. La musica di Gintaras Didziapetris si può ascoltare solo di notte, quando nessuno può vedere i suoi acquerelli. Alcuni lavori contengono del colore. Alcuni sono in bianco e nero. Altri sono fuori spettro. Donelle Woolford è essa stessa una creatura spettrale, nonostante i suoi lavori scaturiscano dalla storia afro-americana. I ritratti di Loris Greaud sono scomparsi dalla tela. Ce ne siamo accorti? Chi può confermare che nulla è cambiato nel film di Aurelien Froment dall’ultima volta che lo abbiamo visto? Chi, per esempio, ha visto Marco Raparelli fare un buco nel muro? O Gabriel Lester concepire l’idea per uno dei suoi lavori più inconsueti? Chi ascolta le notizie della BBC il venerdì sera? E chi non ce l’ha fatta ad essere incluso nel comunicato stampa? Rosalind Nashashibi spesso ritrae processi mentali senza un effettivo ritratto – questi possono aiutare. Un foglio di carta trasparente che stava cadendo dal tavolo viene preso e sepolto da un laser nella sfera di vetro di Ryan Gander. Mariana Castillo Deball ha lavorato con una macchina del tempo in Serbia per realizzare disegni che trascendessero il tempo. Se non si trattasse di un aeroporto João Penalva non avrebbe calpestato l’ombra del tempo. Torreya Cummings portava occhiali con tre lenti – essi modificano percezione e aspetto. Le scarpe non sono ammesse nel disegno di Darius Miksys. La polvere delinea dei paesaggi nelle foto e oggetti di Julieta Aranda. Le sue parole crociate sono aperte a parole che le incrocino. Non accadono solo cose curiose. Una parte di un lavoro di Luca Trevisani è stata rimossa dall’installazione di cui inizialmente faceva parte e combinata con altre. Rorschach non è più un test – con Jason Kalogiros due elementi vengono rappresentati l’uno contro l’altro. Michael Portnoy sta ancora cantando una cover della canzone del Cookie Monster. Non poteva esserci miglior conclusione del centro mancante nell’uovo di Raphael Julliard.
La mostra è curata da Raimundas Malasauskas
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