tactile gaze
Un’attitudine minimalista, ovvero un lavoro di riduzione, sia delle forme, sia dei colori, alla ricerca di un linguaggio essenziale, è l’elemento che accomuna i tre artisti in mostra. Il punto di partenza non è più la creazione: l’artista è colui che trasforma, che combina, che si relaziona con lo spazio, che dispone, che esplora le superfici, che sfrutta la tecnologia per parlare di sé, in una “battaglia col linguaggio per farlo diventare il linguaggio delle cose, che parte dalle cose e torna a noi carico di tutto l’umano che abbiamo investito nelle cose” (I. Calvino).
Un elemento in bilico interrompe il ritmo regolare dell’intera composizione: un panno piegato sembra essere lasciato per terra distrattamente; il processo analogico della fotografia include la possibilità di cogliere qualcosa che l’occhio non ha colto.
Le foto di Talia Chetrit esplorano le possibilità della luce, dei colori, della conformazione luminosa dello spazio e indagano allo stesso tempo il medium della fotografia analogica. La pellicola sembra in grado di assorbire lo spazio circostante e di riconsegnare alla vista un aspetto segreto della sua densità.
Magali Reus indaga la possibile umanizzazione dell’oggetto attraverso il conferimento a materiali industriali, spesso asettici, di un coefficiente di imprevedibilità, di un elemento straniante che ne rivela la precarietà. Gli oggetti conservano la traccia di una funzionalità che ne giustifica l’esistenza e il nuovo valore estetico che assumono in rapporto allo spazio in cui si inseriscono.
I disegni dal fitto intreccio di Dan Shaw-Town sembrano riprodurre la consistenza di tessuti o tele. Le geometrie regolari, che il tratto della matita definisce, contrastano con la manualità dell’esecuzione. L’azione della grafite esaspera la carta, che diventa preziosa come un’antica pergamena, o una consunta mappa geografica.
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