Oltre l’oblio
Jonathan VanDyke
La galleria 1/9unosunove è lieta di annunciare la prima mostra personale in Italia dell’artista americano Jonathan VanDyke.
Il personaggio…deve guardare altrove per capire, nel vuoto.
Michelangelo Antonioni
Nelle parole e nei film di Michelangelo Antonioni è spesso evocato il tema dello sguardo rivolto nel vuoto, nel nulla che gradualmente e con fatica si rivela pieno di significato. In occasione della sua prima mostra personale in Italia, Jonathan VanDyke prende in prestito il titolo da un breve documentario girato da Antonioni nel 1948, Oltre l’oblio, in riferimento a questo processo evolutivo nella ricerca di significato che ci conduce “oltre l’oblio”, un motivo che fa da filo conduttore nei nuovi lavori di VanDyke, i dipinti, le sculture, le fotografie, e il video.
Una serie di fotografie in bianco e nero raffigura due performer, i danzatori Bradley Teal e David Rafael Botana, avvolti e mascherati da mantelli. Resi ciechi e immersi nell’oscurità dell’oblio dai cappucci che coprono le loro teste, i due, che sono anche una coppia, si vedono mentre l’uno cerca l’altro protendendo le braccia, nel tentativo di raggiungersi. I loro gesti promanano un senso di desiderio, di passione, di perdita, e insieme di scoperta rivelatrice. Questa azione di “discesa nell’oscurità” è rispecchiata anche nelle fotografie di VanDyke che, adottando il procedimento di stampa tradizionale, lascia emergere l’immagine sulla pagina bianca nelle fasi di sviluppo all’interno della camera oscura. Anche le tele di VanDyke subiscono un trattamento simile: inizialmente vengono utilizzate come superfici per le performances di Ellis e Botana, che, secondo precisa indicazione di VanDyke stesso, si muovono senza guardare mai a terra mentre la pittura gocciola dalle loro vesti, e sulle tele si accumulano macchie, gocce, striature che tracciano l’azione e l’interazione dei corpi e delle stoffe, mentre lo sguardo è rivolto altrove.
In Oltre l’oblio VanDyke propone un’esperienza spaziale e temporale in cui le opere subiscono una lenta ma continua trasformazione, che coinvolge anche lo spettatore che entra in contatto con esse. Nella prima sala VanDyke ha creato una struttura di valore al contempo scultoreo, architettonico e pittorico, una recinzione di legno aperta, che cela e insieme rivela il suo interno ed il suo esterno a chi guarda, come attraverso delle aperture. Camminandovi intorno e attraverso si possono vedere fronte e retro di sei dipinti e di sei fotografie sistemati all’interno e all’esterno del recinto. I pattern geometrici, che nelle fotografie decorano i vestiti da arlecchino dei performers, mentre nei dipinti si trasformano e si accumulano, riecheggiano l’aspetto di mattoni, sbarre di prigione, muri.
Alludendo ora ai tessuti, ora all’architettura o all’arte Moderna, pattern geometrici e reticoli invadono le fotografie, le sculture e il video, completando la mostra nella seconda sala della galleria. Le sculture di VanDyke, relazionandosi al corpo umano in termini di dimensioni e proporzioni, lasciano cadere gocce di vernice densa che si solidifica e si accumula sul pavimento in pozze colorate. La stessa vernice torna ancora su stoffa, tele e corpi nel video di VanDyke, palcoscenico di incontri performativi, scultorei e pittorici all’apice della sensualità e dell’ipnosi, mentre di fondo si sente il fruscio di un ventilatore, come nella scena iniziale del film di Antonioni L’Eclisse. Centrale sia nel lavoro fotografico che nel video, l’attenzione con cui VanDyke indaga le diverse possibilità insite nell’atto del dirigere e dell’interpretare, la relazione che intercorre tra il documentario (“la vita reale”) e il cinematografico (“la vita messa in scena”). Come potrebbe prender forma il terreno di confine, lo spazio vuoto che separa realtà e finzione?
Per VanDyke il titolo Oltre l’oblio “risuona attraverso i lavori.. immagino che si può andare “oltre l’oblio” attraverso l’accecamento (le maschere indossate negli scatti fotografici), scalando un muro (i muri creati dai dipinti), esplorando la rigidità e il mistero del nostro corpo (sensualità, sesso, malessere fisico, risveglio spirituale), attraverso l’arte (la pittura dell’Espressionismo Astratto e l’idea di mutevolezza e di sublime) attraverso l’abbattimento degli schemi (quelli da cui siamo condizionati così in profondità da non averne più coscienza). Poi c’è la vernice che goccia senza sosta dalle sculture cadendo nel vuoto”. Materialmente, concettualmente, e metaforicamente, VanDyke riflette sul concetto di oblio, uno spazio vuoto, un nulla, attraverso cui tuttavia il pensiero, la vista e l’azione potrebbero infine trovare pieno significato. Davvero allora, il campo vuoto non è vuoto ma pieno.
Lisa Hayes Williams
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