Jonathan VanDyke
How to Operate in a Dark Room
Caro spettatore:
Sono nel mio studio mentre preparo questa mostra. Intorno a me ci sono centinaia di pezzi di tessuti dipinti e macchiati, accatastati e raggruppati sul tavolo. Troverai piccole forme, contrassegnate da intricati dettagli, che potrebbero stare sul palmo della tua mano. La loro palette è scura, ma girali e vedrai dall’altra parte una tela con colori brillanti. Troverai magliette tinte con diverse gradazioni di colore attraverso un processo di accumulazione che richiede settimane. Stesi a terra ci sono dei jeans che hanno assorbito sottili colate di vernice, e altri che sono stati tinti in modo che il loro blu potesse diventare un blu-verde o un blu-viola. Presto taglierò a pezzi queste magliette e questi jeans, ma per ora rimangono sufficientemente interi da poter assemblare un abito.
La radio è accesa. Sto ascoltando le notizie: il pianeta sta bruciando, la situazione alla frontiera è desolante, il Presidente americano sta mentendo. Potrei spegnere ma non voglio. Hai pensato che fossi assorbito unicamente dalle superfici di questi quadri? Voglio che tu trovi pace nella particolare bellezza che sto cercando di creare. Ma c’è un sottotesto, un metodo nell’uso di questi materiali e processi. Per oltre un decennio ho raccolto un archivio di immagini – foto tratte dai notiziari e dalla storia dell’arte – e ne ho stampate alcune sul retro dei dipinti. Immagino che queste foto rappresentino il subconscio dei quadri: quello che vedrebbero nei loro sogni se potessero dormire.
Compongo i quadri sul pavimento dello studio, osservandoli dall’alto di una scala, e poi cucio i loro numerosi pezzi insieme, facendo delle pause per separarli, riorganizzarli e ricominciare. Rimettere insieme i pezzi è sia un’azione che una metafora. Le trapuntatrici americane del diciannovesimo secolo – donne il cui lavoro resta anonimo – realizzavano a pezzi le loro coperte perché avevano a disposizione solo piccoli ritagli di tessuto. Un “blocco” era composto da un gruppo di pezzi disposti all’interno di un rettangolo della grandezza del palmo di una mano e potevi creare un singolo blocco una volta finiti i lavori domestici e aver messo i bambini a letto. Punto per punto, blocco per blocco, la lavoratrice segna il tempo. Molte trapuntatrici hanno trasformato tessuti in motivi geometrici ricamati come opere d’arte completamente astratte, opere d’arte moderna: opere sotto le quali potresti anche dormire, motivi che potevi sentire al buio. Fare qualcosa in questo modo significa incarnare la pazienza e abbracciare la complessità. Spero di realizzare un’opera d’arte che non puoi vedere tutta in una volta, che ti dà di più se le dai il tempo. Voglio che il lavoro sia caldo, non freddo.
Nel 2017, mi sono rotto entrambi i polsi. Non potevo aprire una porta. Ho fatto un’operazione: due braccia, due chirurghi. Riuscendo a malapena ad utilizzare gli arti superiori, ho dovuto riorientare il mio corpo così che il bilanciamento venisse dalle gambe. Freud si riferiva agli omosessuali come a degli “Invertiti”, come se noi fossimo sottosopra. Orientarsi in modo diverso può essere una forma di potere e di piacere. Prima di questo incidente, avevo realizzato il mio lavoro con dei ballerini, con processi fortemente fisici che comprendevano l’intero studio. Ho dovuto cambiare e lavorare da solo così da rallentare, da preferire gesti più piccoli alle grandi azioni. È difficile dire a parole cosa è cambiato ma penso che il mio corpo lo capisca. Quando leggerai questo testo, il lavoro sarà fuori nel mondo. Mi piacerebbe che tu arrivassi a sentire piuttosto che a ragionare sul lavoro che sto facendo, o lasciare che questo arrivi a te, nel tempo.
––JVD, New York, Settembre 2019
1/9unosunove presenta How to Operate in a Dark Room, un’importante serie di nuove opere di Jonathan VanDyke, che vive e lavora a New York. Le opere in mostra testimoniano il livello di maestria raggiunto dell’artista nella realizzazione di dipinti cuciti.
Centinaia di pezzi di tela e tessuti, tra cui denim e t-shirt, sono stati macchiati e dipinti in studio attraverso procedimenti elaborati, quindi sono stati tagliati e cuciti insieme secondo complesse composizioni. Molti dei lavori presentano sul retro colori vivaci, lino tinto e foto prese dall’archivio fotografico dell’artista. Complementare ai dipinti è una serie di foto in bianco e nero (stampa ai sali d’argento) ispirate a una scena del film di Michelangelo Antonioni del 1962, L’eclisse, in cui un uomo che ha appena perso tutto disegna dei fiori. I lavori sono installati su impalcature che l’artista ha allestito in galleria. In contrasto con la delicatezza dei quadri, le logore superfici metalliche e le attrezzature industriali citano l’Arte Povera e la scultura minimalista americana. Le opere e l’installazione si uniscono come meditazione sul fare arte e trovare possibilità creative durante tempi bui e incerti.
Jonathan VanDyke vive a New York. Questa à la sua terza mostra con la galleria. Recenti mostre personali si sono tenute presso Loock, Berlino e Tops Gallery a Memphis, Tennessee. The Patient Eye, una performance di 48 ore e una mostra che la accompagnava, si è tenuta al The Colubus Museum in Georgia (USA) nel 2018. Il suo lavoro ha fatto parte dell’importante mostra Queer Abstraction, inaugurata al The Des Moines Art Center a giugno di quest’anno e sarà trasferita al The Nerman Museum, Kansas, a Novembre.
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